Lavoro: vietati i controlli indiscriminati su e-mail e smartphone aziendali
Come noto, il D.Lgs. 151/2015 in attuazione del Jobs Act (Legge Delega n° 183/2014) ha modificato l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori prevedendo, tra l’altro, che la procedura necessaria per l’installazione di strumenti da cui derivi la possibilità di controllare a distanza i lavoratori (accordo sindacale o, in subordine, autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro) “non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”.
In relazione all’uso di tali strumenti e delle informazioni raccolte mediante gli stessi, è necessario, secondo il novellato art. 4, L. 300/1970, “che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”.
In tal senso, è significativa la recente pronuncia del Garante della Privacy (n° 547 del 22 dicembre 2016) con cui, a fronte di un reclamo presentato da un lavoratore dipendente, si ribadisce che è vietato l’accesso indiscriminato alla posta elettronica e alle informazioni contenuti negli smartphone assegnati al personale dipendente. Tale divieto riguarda anche i rapporti di lavoro cessati.
Tale comportamento, infatti, si configura come illecito in quanto rappresenta una violazione alla disciplina di legge che regola l’accesso ai dati personali. Al datore di lavoro è consentita esclusivamente la conservazione dei dati per la tutela dei diritti in sede giudiziaria, nel rispetto delle norme e dei limiti del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. n° 196/2003).
Nel caso concreto, un lavoratore dipendente di una multinazionale ha interpellato il Garante sulla legittimità del trattamento effettuato da datore di lavoro, che avrebbe acquisito dati, anche di natura privata, contenuti nella e-mail e nel telefono aziendale, sia durante il rapporto professionale sia dopo il suo licenziamento.
Dall’istruttoria è emerso che il datore di lavoro non aveva provveduto ad informare adeguatamente i lavoratori circa le modalità e le finalità di utilizzo degli strumenti elettronici in dotazione, né su quelle relative al trattamento dei dati. La configurazione del il sistema di posta elettronica utilizzato, inoltre, consentiva di conservare copia di tutta la corrispondenza per dieci anni. L’azienda, poi, manteneva attive le caselle e-mail fino a sei mesi dopo la cessazione del contratto, non consentendo però agli ex dipendenti di consultarle e non informando i mittenti che le e-mail sarebbero state ricevute da altri soggetti viagra sans ordonnance.
Il titolare poteva liberamente accedere da remoto alle informazioni contenute negli smartphone in dotazione ai dipendenti, copiarle, cancellarle, comunicarle a terzi violando i principi di liceità, necessità, pertinenza e non eccedenza del trattamento.
In conclusione, si può affermare che il datore di lavoro, al quale non viene certamente negato il diritto di verificare l’adempimento della prestazione ed il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro da parte dei propri dipendenti, deve operare nel rispetto della libertà e della dignità, imposto dalla normativa in vigore. Non è, invece, consentito, neanche indirettamente, il controllo massivo, prolungato e indiscriminato dell’attività del lavoratore.
In ogni caso, i lavoratori devono essere sempre informati in modo chiaro e dettagliato sulle modalità di utilizzo degli strumenti aziendali ed eventuali verifiche.
Il Garante ha disposto l’apertura di un autonomo procedimento per verificare l’applicazione di eventuali sanzioni amministrative.
(Garante della Privacy, newsletter 17 febbraio 2017, n. 424)
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